Nelle ultime settimane, alcuni operatori del mercato hanno cercato di sfruttare gli emendamenti alla legge di bilancio italiana per introdurre i cosiddetti contributi “fair share”’ a beneficio dei grandi operatori di telecomunicazioni. L’idea di una tassa sui fornitori di cloud, utilizzata per finanziare gli operatori di telecomunicazioni, è stata discussa e respinta numerose volte in diverse giurisdizioni, in quanto ritenuta ingiusta, inutile e dannosa per l’economia digitale. Il CISPE invita i legislatori italiani ad agire ora per fermare la fair share zombie.
Le proposte italiane sono rivolte alle “parti utente”, inizialmente rivolte ai maggiori fornitori di contenuti e cloud, ma inevitabilmente danneggeranno anche i fornitori di servizi cloud e le aziende tecnologiche italiane. Il CISPE, l’associazione che rappresenta i fornitori europei di servizi di infrastruttura cloud in Europa, che conta tra i suoi membri 17 operatori italiani, esorta i legislatori italiani a respingere completamente questa proposta prima che venga arrecato un danno significativo alla crescita del cloud in Italia.
In particolare, una serie di emendamenti al prossimo disegno di legge finanziaria, inizialmente respinti e poi ripresentati nel dibattito al Senato, prevedono l’introduzione di un canone per l’utilizzo della rete che dovrà essere pagato dagli operatori che “generano” un certo volume di traffico, indipendentemente dal fatto che si qualifichino come ”gatekeeper”.
La proposta soffre di molteplici problemi logici e tecnici che produrrebbero chiare distorsioni del mercato.
Innanzitutto, definire i fornitori di servizi cloud come “grandi utenti” è errato, poiché il traffico non è generato dal fornitore di contenuti o di servizi, ma dal cliente. Dopo tutto, i clienti pagano il loro Internet Service Provider (ISP) per la connettività per accedere ai contenuti online. Secondo la proposta, gli operatori di telecomunicazioni verrebbero remunerati due volte per lo stesso servizio: una volta dall’utente e una seconda dal fornitore di contenuti e/o servizi. Questo approccio contraddice i principi fondamentali dell’attuale funzionamento di Internet ed è contrario alla logica del mercato.
Inoltre, il progetto di legge non quantifica l’importo del contributo e non fornisce alcuna base di calcolo. La definizione dell’ammontare del pagamento è lasciata agli accordi tra le parti obbligate e gli operatori di rete. Questo non solo rende le tariffe imprevedibili ed estremamente variabili, ma potrebbe portare all’attuazione di prezzi anticoncorrenziali e ad un aumento dei costi per i clienti.
A nostro avviso, questi emendamenti non sono altro che la riproposizione di un argomento che è stato discusso (e ampiamente respinto) a livello europeo nel 2022-2023. I potenziali effetti negativi di una simile tassa non possono essere sopravvalutati. Sono particolarmente ingiusti nei confronti dei fornitori di cloud e CDN più piccoli, che già investono in modo significativo in infrastrutture (server, apparecchiature di rete) e che operano in un mercato più competitivo rispetto alle telecomunicazioni.
È essenziale che i legislatori italiani vedano questo emendamento per quello che è: una tassa furtiva sui clienti del cloud, compresi i singoli consumatori e le organizzazioni del settore pubblico e privato, che avvantaggerà solo uno o due grandi operatori di telecomunicazioni storici a scapito dell’intera economia digitale. Questa tassa zombie è stata soppressa da voci giudiziose più e più volte; non le dia la possibilità di tornare in vita in Italia.
Per maggiori informazioni sulle questioni più ampie di una tassa sul traffico internet, legga la valutazione del BEREC dell’ottobre 2022 e il nostro documento di posizione del maggio 2023. Il CISPE è pronto a collaborare con le autorità italiane per trovare soluzioni più adeguate a qualsiasi problema individuato dal Governo italiano.